Meditazioni sul Vangelo

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Dare a Dio e a Cesare (Mt 22, 15-21)

Dio e Cesare

La tensione fra Gesù e i capi di Israele sta salendo, il ritmo degli scontri va crescendo e prelude allo scontro finale in cui una delle due parti dovrà soccombere. Il piano di Gesù è di vincere perdendo, è il tentativo di sciogliere la durezza dei cuori, non con una durezza ancora maggiore, ma con la dolcezza di un agnello che volontariamente si consegna nelle mani di coloro che lo vogliono uccidere. Perché è questo che vogliono i capi di Israele: eliminarlo. Le loro posizioni e quelle di Gesù sono incompatibili, proprio perché Gesù non ammette compromessi: Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde (Mt 12, 30). Il suo piano è frutto di un amore folle, tanto che nemmeno i discepoli riusciranno a comprenderlo, anche perché: sia il mistero del male, sia il modo con cui Dio intende affrontarlo sono realtà che eccedono i pensieri, le prospettive e le forze umane.

Tennero consiglio per cogliere in fallo Gesù

Nelle precedenti parabole dei vignaioli omicidi e del rifiuto dei primi chiamati al banchetto di nozze, Gesù aveva chiaramente parlato di quanti in Israele non lo volevano accogliere, tanto che Matteo annota: Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. Ma le parole di Gesù invece di farli rinsavire rafforzano i loro propositi di morte: Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta (Mt 21, 45-46). Rendendosi conto che devono cambiare strategia: Se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Dal consiglio esce un piano molto ben architettato, molto sottile e, secondo loro, infallibile. I punti di forza di questo piano si basano proprio sulla pretesa di Gesù di essere il Messia e sul suo modo di parlare schietto, veritiero, che non ha soggezione di alcuno perché non guarda in faccia a nessuno.

Ed ecco la coalizione entrare in azione: Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli… L’insidia avanza mascherata, i lupi si travestono da agnelli credendo di non essere scoperti; dicono di Gesù cose molto giuste e molto vere, ma per niente sincere; la trappola nella quale vorrebbero far cadere Gesù è la seguente: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».

Il liberatore di Israele

Ora, se Gesù è il Messia, è per ciò stesso il liberatore di Israele, come infatti Mosè aveva liberato gli Ebrei dalla schiavitù dell’Egitto, così il Messia libererà gli Israeliti dalla schiavitù che ora li opprime, ossia dai Romani; la domanda sul tributo comporta quindi una dichiarazione di Gesù sul come reagire alla dominazione straniera. Secondo i capi dei sacerdoti e i farisei, se Gesù è il Messia dovrà necessariamente esprimersi contro il dominio di Roma, non solo, ma dovrà prima o poi raccogliere forze per liberare Israele. Se però Gesù si esprime contro i romani, questi non staranno a guardare, reagiranno, e Gesù ne subirà le conseguenze, ed è quello che i farisei vogliono.

Questa idea del Messia liberatore politico era molto radicata fra i discepoli e fra il popolo, infatti i discepoli di Emmaus esprimono allo sconosciuto viandante che li accompagna il loro rammarico: Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele… (Lc 24, 21), e poco prima dell’ascensione altri discepoli chiedono: Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele? (At 1, 6). Anche il popolo, dopo la spettacolare moltiplicazione dei pani: Visto il segno che egli aveva compiuto, cominciò a dire: «Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo (Gv 6, 14-15).

L’idea diffusa di un Messia liberatore, e re di un regno secondo il pensiero degli uomini, rendeva il piano architettato praticamente inaffondabile, e costituiva anche un secondo aspetto della trappola, infatti, se Gesù non prendeva posizione contro i Romani, avrebbe deluso le aspettative del popolo, il quale sperava che fosse lui a liberare Israele. Quindi, l’insidia era architettata per danneggiare Gesù in qualunque modo avesse risposto: se parlava contro i Romani avrebbe avuto noie dai Romani, se invece si mostrava benevolo con loro avrebbe deluso il popolo perdendo stima e considerazione.

La trappola disinnescata

Le tortuose macchinazioni degli uomini sono però destinate a fallire miseramente di fronte alla sapienza e alla potenza di Dio. La risposta di Gesù è come un bagliore nella notte che smaschera le intenzioni più segrete, perché nulla è nascosto ai suoi occhi, e in lui non c’è incertezza di giudizio: Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Ipocriti: l’ipocrisia sta nel mascherare un’intenzione cattiva presentandola come buona, infatti, poteva anche essere una domanda interessante sapere se è lecito o no pagare le tasse. La risposta è abbastanza scontata se l’autorità che governa è legittima e opera per il bene comune, la cosa è invece più problematica quando a richiedere le tasse è un tiranno, un popolo invasore o un governo corrotto. Ma ai capi dei sacerdoti e ai farisei la questione non importava minimamente, a loro importava solo trovare un modo per sbarazzarsi di Gesù.

Diversamente da altre volte, in cui Gesù non risponde alle provocazioni, in questo caso risponde, forse perché, nonostante la malizia dei farisei, la domanda gli consente di dare un insegnamento importante; ecco come procede: Mostratemi la moneta del tributo. Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: Questa immagine e l'iscrizione, di chi sono? Gli risposero: Di Cesare. Allora disse loro: Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio.

Il cardinale Giacomo Biffi, commentando, presta a Gesù le seguenti parole: “«Se accettate per i vostri traffici e per i vostri guadagni la moneta dell’imperatore, voi riconoscete all’imperatore l’autorità di gestire la cosa pubblica, e quindi anche il suo diritto a raccogliere i tributi». Ma - sottolinea subito - l’autorità politica non è illimitata: è circoscritta dall’autorità prevalente di Dio… Lo stato antico era sempre totalitario: disponeva di tutto l’uomo, perfino della sua vita religiosa. Anche gli atti di culto erano regolati dalle leggi ed erano funzionali all’azione e ai progetti dello Stato… Gesù invece insegna: alle autorità terrene dovete tutto e solo quello che compete a loro. Nessun organismo dello stato, nessuna forza politica, nessun partito può pretendere ciò che appartiene a noi come persone (alle quali anche lo stato è finalizzato) e a Dio come Signore dell’universo… nessuno può interferire nelle vostre convinzioni morali, può imporvi la sua concezione del mondo: Date a Cesare quel che è di Cesare, ma niente di più”.

Da don Divo Barsotti prendiamo il seguente pensiero: “Per Israele, come ora è per l’Islam, potere politico e potere religioso erano un solo potere… ma con il cristianesimo, la religione si è sciolta da ogni vincolo col politico, col nazionale e con la razza… Dio e nazione sono ora due valori, non opposti, ma comunque assolutamente distinti… a me sembra che con queste parole Gesù finalmente abbia inaugurato una nuova era per la religione… perché fino allora tutte le religioni erano sempre legate allo Stato, alla nazione, alla razza. Nel cristianesimo non vi è una nazione eletta, né vi è più una razza scelta da Dio: religione e stato rimangono distinti. È vero che l’autorità religiosa ha un potere indiretto sul temporale. Ma il potere è appunto indiretto: suppone una distinzione; nell’ambito loro proprio, non si può confondere più politica e religione, Stato e Chiesa”.

La vera liberazione

Se è vero, come dice Biffi, che gli Israeliti accettavano la moneta dell’imperatore “per i loro traffici e per i loro guadagni”, non la accettavano però tanto volentieri, tuttavia, con la sua risposta il Signore sembra giustificare la legittimità di pagare le tasse anche quando si subisce un’“ingiusta” dominazione. Intanto bisogna esaminare se ciò che gli Israeliti subivano era ingiusto o non corrispondeva piuttosto a un giusto castigo. Se consideriamo la storia di Israele raccontata nell’Antico Testamento, vediamo che Dio normalmente puniva il peccato di Israele mediante l’oppressione di popoli nemici. La cosa è particolarmente evidente nel periodo dei Giudici, i quali erano dei condottieri che il Signore suscitava per liberare il suo popolo dal’oppressione dei nemici, ma dopo la liberazione e la morte del giudice: Gli Israeliti ripresero a fare ciò che è male agli occhi del Signore; il Signore rese forte Eglon, re di Moab, contro Israele, perché facevano ciò che è male agli occhi del Signore. Eglon radunò intorno a sé gli Ammoniti e gli Amaleciti, fece una spedizione contro Israele, lo batté e occuparono la città delle palme. Gli Israeliti furono servi di Eglon, re di Moab, per diciotto anni (Gdc 3, 12-14).

I giudici erano per Israele un po’ come una medicina che cura il sintomo, ma non incide sulla causa, infatti il ritornello costante di quel periodo, e in fondo di tutta la storia di Israele, è: ripresero a fare ciò che è male agli occhi del Signore. Gesù è il Giudice dei giudici che è venuto a curare andando a incidere sulla causa, e questo delude inevitabilmente chi è abituato a ottenere un sollievo immediato da una medicina che cura i sintomi. Gesù non libera Israele dall’oppressione dei Romani con una vittoria militare strepitosa alla maniera dei giudici, ma rimuovendo la causa dell’oppressione, che è quella di fare ciò che è male agli occhi del Signore; e Israele fa ciò che male agli occhi del Signore perché non dà a Dio quello che è di Dio. Di qui l’insegnamento per tutti gli uomini e per tutti i tempi: il rimedio a qualsiasi forma di oppressione non sta in una rivolta violenta, ma in un ritorno sincero a Dio, un ritorno non formale o superficiale, ma, a Dio che offre all’uomo il suo amore, l’uomo deve rispondere dando in cambio amore. Ed è il solo rimedio risolutivo per tutti i guai e le tragedie che ci affliggono.

Un rimedio troppo semplice

Il rimedio è talmente semplice e profondo che rischiamo di non vederlo, o di non comprenderlo a sufficienza; la prova è che ci attacchiamo ostinatamente a rimedi che non rimediano a nulla, perché sono rimedi umani e non possono che curare i sintomi, ma quando la malattia diventa tanto grave da provocare perdite di sangue da ogni parte, i rimedi umani non servono. Quando la malattia raggiunge certi livelli, è inutile sperare nel dialogo, negli incontri bilaterali, nelle missioni diplomatiche, negli appelli e nelle marce per la pace… tutti rimedi destinati a fallire perché non incidono sulla causa. Specialmente i capi della Chiesa dovrebbero gridare dai tetti: Convertitevi e credete al vangelo! (Mc 1, 15), e dovrebbero gridarlo: in ogni occasione opportuna e non opportuna (2Tm 4, 2). Se il mondo sta andando in fiamme è anche perché chi dovrebbe gridare non ha gridato, e il popolo si ritrova così addormentato da rischiare di morire fra le fiamme. È anche probabile che ormai sia troppo tardi e il male debba fare il suo corso.

In ogni caso, la profondità del rimedio sta nel fatto che non basta dare a Dio un’adesione formale alla maniera dei farisei, ai quali esteriormente non si poteva rimproverare nulla, e per questo si ritenevano a posto e superiori ai comuni mortali: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo (Lc 18, 11-12). Tutti gli atti religiosi che compiamo, sono ipocriti se non sono mossi dall’amore di Dio. Il rimprovero che tutti dovremmo temere è: Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me (Mt 15, 8). Tutti rischiamo di non dare a Dio quello che è di Dio, ossia il nostro cuore. Il segno che in noi c’è qualche traccia omeopatica di amore per Dio, è proprio il timore di onorarlo solo con le labbra, ossia in modo esteriore e superficiale, mentre il nostro cuore è ancora molto lontano da lui.

La Santa Vergine infonda in noi il sano timore di non rispondere come si deve all’amore di suo Figlio.

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  • Ultimo aggiornamento 09-01-2024

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  • La parabola degli operai nella vigna (Mt 20, 1-16)

    Difficoltà  di comprendere un comportamento ingiusto - Ingiustizia che torna a nostro favore - Chi consola questa parabola.

Consapevole che le meditazioni proposte non sono che incerti balbettii, faccio appello alla carità  del lettore perché vengano accolte con benevolenza. In fondo, davanti a Dio, siamo tutti dei bambini bisognosi di imparare a parlare l'unica lingua che si parli nel suo Regno, la lingua dell'amore.

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