Meditazioni sul Vangelo

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Le tentazioni di Gesù (Mt 4, 1-11)

 Le tentazioni di Gesù

Le tentazioni di Gesù avvengono subito dopo il suo battesimo nel Giordano da parte di Giovanni Battista. Lo Spirito Santo, che nel battesimo era sceso su di lui come una colomba (Mt 3, 16), ora lo conduce nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Noi ascoltiamo questi racconti e non ci rendiamo troppo conto che ci parlano di realtà vertiginose, Dio e le sue opere sono vertiginosi. Quando cerchiamo di scrutare le opere di Dio - il che è rendergli omaggio -, dobbiamo accettare l’umiliazione di barcollare, come gli ubriachi che perdono l’orientamento e non si reggono bene in piedi; ma noi, che siamo orgogliosi non vogliamo barcollare e, per illuderci di stare meglio in piedi, modifichiamo la Scrittura così che sia meno vertiginosa, più assimilabile, più alla porta della nostra comprensione. Allora, il Non ci indurre in tentazione del Padre Nostro, diventa: “Non abbandonarci alla tentazione”; ma mentre la prima espressione si accorda bene con il fatto che è lo Spirito a condurre Gesù nel deserto, per essere tentato, la seconda non si accorda bene, né con il testo greco, né con il piano di Dio che la Scrittura ci rivela.

Se è lo Spirito a condurre Gesù nel deserto per essere tentato, e se preghiamo il Padre di non indurci in tentazione, in entrambi i casi la Scrittura suppone un’iniziativa volontaria di Dio nel porre qualcuno in stato di tentazione; mentre nell’espressione: “Non abbandonarci alla tentazione”, l’iniziativa volontaria di Dio scompare, il suo compito diventa passivo rispetto alla tentazione, lui deve solo fare in modo che uno non sia vinto dalla tentazione, ma non ha più il ruolo positivo di mettere in stato di tentazione, come vediamo che lo Spirito Santo fa nei confronti di Gesù, come ha fatto all’inizio con Adamo ed Eva, e molte altre volte nella storia della salvezza; si violenta così la Scrittura, e questo non può non provocare danni, non può essere senza offesa a Dio, senza una mancanza di rispetto della sua Parola. Se le parole di Dio sono di difficile comprensione, non per questo è lecito modificarle per adattarle alle nostre deboli intelligenze.

La tentazione dei progenitori

Ora, le tentazioni di Gesù nel deserto e la sua vittoria sulle insidie del demonio, hanno una relazione con la tentazione originale che Adamo ed Eva non hanno saputo vincere. Disubbidendo, Adamo ed Eva hanno offeso Dio che li amava e, per una ragione d’amore, aveva chiesto loro di non mangiare del frutto dell’albero (Gn 3, 3). L’affronto che gli hanno fatto è di aver considerato le parole del demonio più veritiere e più credibili, ed è stato come se una moglie avesse dato più retta al primo bell’imbusto che passava invece che a suo marito. Anche nel loro caso c’è stata una modifica della Parola di Dio; la parola: altrimenti morirete, è diventata: Non morirete affatto! Anzi (Cfr. Gn 3, 3-4), è vero che è stato il demonio a suggerire la modifica, ma loro sono stati pronti ad accoglierla. Da notare che, siccome è stato Dio a porre nel giardino l’albero della conoscenza del bene e del male e a dare il comando di non mangiare il suo frutto, ha volontariamente messo Adamo ed Eva in stato di tentazione, se non voleva la tentazione aveva solo da non piantare l’albero o non vietare loro di mangiarne il frutto (Cfr. Gn 2, 9-17), dunque, la tentazione è qualcosa che Dio non solo permette, ma vuole, e se la vuole c’è una ragione, ed è buona.

Siccome i nostri progenitori hanno ceduto alla tentazione, Gesù, subendo e vincendo le tentazioni, ripara in qualche modo la disubbidienza originale e tutte le disubbidienze degli uomini; con la sua ubbidienza eroica offre al Padre una risposta adeguata al suo amore offeso dalle nostre disubbidienze. Avendo il Padre previsto la bellezza di incomparabile valore dell’ubbidienza e dell’amore di Gesù, di Maria e di tutti coloro che li avrebbero imitati, ha deciso che valeva la pena dare l’esistenza a tutto ciò che esiste, anche se i peccati degli uomini avrebbero generato un mare di orrori, di sofferenze e di morte. In questo sta la vertigine: Dio ci ama immensamente, ma proprio perché il suo amore è l’amore di un vero amante che attende dall’amata una libera risposta, è anche necessaria la tentazione; se però l’uomo non vince la tentazione preferendo sé stesso a Dio, ne stravolge il progetto, offende il suo amore e rischia di perdersi per sempre; tuttavia, il rimedio che Dio prevede supera in bellezza ogni orrore prodotto dagli uomini e dai demoni.

La necessità della tentazione

Per comprendere la tentazione dobbiamo comprendere l’amore, se non comprendiamo l’amore non comprenderemo neanche la tentazione. Nel libro del Siracide è scritto: Se vuoi farti un amico, mettilo alla prova e non fidarti subito di lui (Sir 6, 7). È quello che Dio fa con gli uomini; volendo offrire loro la sua amicizia, è anche necessario che li metta alla prova. La sua amicizia è un bene di valore infinito, ma Dio non vuole imporlo, non vuole costringere nessuno a essergli amico, nella tentazione l’uomo dice a Dio se vuole o non vuole la sua amicizia. Se nella tentazione gli uomini preferiranno Dio a sé stessi, allora il gran bene dell’amicizia fra Dio e l’uomo potrà realizzarsi, altrimenti sarebbe un dare le perle ai porci (Cfr. Mt 7, 6); la tentazione serve anche per separare gli amici dai porci: gli amici amano l’Amico, i porci amano sé stessi.

Possiamo osservare che nelle tentazioni di Gesù, il demonio cerca sempre di indurlo a utilizzare i suoi poteri per ottenere una gratificazione personale: cambiare le pietre in pane, pretendere da Dio un miracolo inutile, ottenere la gloria di tutti i regni del mondo; ma Gesù ogni volta oppone l’obbedienza alla volontà di Dio anche se costa, ma proprio perché costa dice che preferisce Dio a sé stesso. Invece, i progenitori hanno preferito la gratificazione personale alla volontà di Dio: La donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito (Gn 3, 6). Hanno così infranto la legge fondamentale dell’amore di amicizia che consiste nel preferire sempre l’amico a sé stesso. Nell’amore di amicizia l’amico dice all’amico: “Sei tu che conti, non io”, ma a sua volta l’amico risponde: “Sei tu che conti, non io”, nasce così la danza dell’amore che rende beati per l’eternità, perché tutti i beati sono amici e tutti vivono secondo la legge dell’amore. Siamo ben lontani dal comprendere veramente e dal praticare questa legge, allora, le conseguenze della catastrofe originale continuano ad affliggerci con un assortimento inverosimile di sofferenze e di guai.

Tutte queste cose io ti darò

Lo Spirito conduce Gesù nel deserto per essere tentato dal diavolo. Potremmo anche dire che l’Amore ha condotto Gesù nel deserto di questo mondo per essere tentato dal diavolo; questo mondo è veramente un deserto nella misura in cui non vi regna l’amore e giace sotto il potere del maligno (1Gv 5, 19). L’episodio riassume allora tutta la vita e la missione di Gesù, che è apparso per distruggere le opere del diavolo (1Gv 3, 8). Il demonio lavora instancabilmente per cercare di ripiegare l’uomo su se stesso e per metterlo illusoriamente al centro di ogni cosa come se fosse un “Dio”, ma il fine che si propone è che l’uomo giunga ad adorare il demonio e non più Dio: Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai. La nostra lamentevole ingenuità, il nostro infantilismo non del tutto innocente, non vogliono vedere che il nostro destino finale è l’adorazione: di Dio, o del demonio. Nessuno è dispensato dalla scelta e nessuno potrà scegliere al posto nostro; non dobbiamo però credere troppo presto di aver scelto Dio. La lotta di Gesù con il demonio all’inizio della vita pubblica, che proseguirà durante tutta la sua missione e raggiungerà l’apice nei giorni della passione, ci mostra la gravità e la serietà della lotta, la gravità e la serietà della scelta; se non fossimo drogati e addormentati dalle vanità del mondo, dovremmo avere un po’ più paura dell’opera del maligno. Purtroppo, contribuiscono ad addormentare i cristiani anche quanti dicono che il demonio non esiste, che l’inferno è vuoto, che tutti alla fine si salveranno…

L’impossibile miracolo

Dire che tutti alla fine si salveranno equivale a soccombere alla seconda tentazione di Gesù: Il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: "Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra". Infatti, è come dire: siccome Dio è buono e misericordioso, non è possibile che qualcuno si faccia male e si perda anche se cadesse dal punto più alto del tempio. Ma Gesù risponde: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo. Non si può chiedere a Dio il miracolo della salvezza solo perché siamo Figli di Dio, se la richiesta non proviene da un cuore contrito e umile, Dio non opererà nessun miracolo; la bontà di Dio risponde al pentimento dell’uomo, pretendere che risponda a richieste che non sono dettate dall’amore, è come mettere Dio alla prova, non risponderà.

In fondo, questa tentazione pretende di strumentalizzare Dio riducendolo a nostro servo; non vogliamo arrenderci a lui se non è disposto a soddisfare anche i nostri capricci. È la pretesa degli scribi e dei farisei, i quali continuamente chiedevano a Gesù un segno, ossia un miracolo secondo i loro gusti; a loro non bastavo mai i miracoli che Gesù faceva, e non bastavano perché non volevano accoglierlo come Salvatore, allora avevano bisogno di un pretesto per dire che non era lui il Salvatore. Questo atteggiamento lo ritroviamo in coloro che vogliono un Salvatore pronto a piegarsi alla loro idea di salvezza o a un loro progetto; quante volte nei nostri desideri, nei casi difficili, nelle tribolazioni e nelle angosce, vorremmo che il Signore ci esaudisse secondo le nostre aspettative, e a queste siamo così attaccati da non volervi rinunciare per nessun motivo; provochiamo così seri guai, sia ad altri, sia a noi stessi. Simili rigidità possono albergare solo nei cuori in cui il demonio riesce a mantenere un fondo di orgoglio che tenacemente si oppone alla volontà di Dio.

Il digiuno

Gesù nel deserto ha digiunato quaranta giorni e quaranta notti, è normale che alla fine abbia avuto fame. Ma perché ha digiunato? Per affermare che Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Il suo eroico digiuno ripara allora l’esagerato amore che spesso abbiamo per il cibo, mentre abbiamo scarso amore per le Parole di Dio. Una volta, interrogarono Gesù sul motivo per cui i suoi discepoli non digiunavano, rispose: Verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno (Mc 2, 20). Il digiuno ha quindi una relazione con l’assenza dello sposo; dobbiamo quindi comprendere il digiuno cristiano in rapporto all’amore sponsale di Gesù e alla sua assenza; ma vivere nell’assenza dello sposo è la condizione normale del discepolo: Finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore, camminiamo nella fede e non ancora in visione (2Cor 5, 6-7 ). Allora il cristiano digiuna per dire al suo sposo che la vita vera gli viene da lui e non dal cibo, e glielo dice non a parole ma con i fatti, rinunciando di tanto in tanto a nutrirsi del cibo del corpo e accettando il disagio che questo comporta.

La rinuncia al cibo è particolarmente significativa, perché è una rinuncia a qualcosa di vitale, ma per il cristiano è ancora più vitale affermare che la vera vita gli viene dal suo Signore. Il demonio, invece, vuole vanificare questa parola d’amore e suggerisce: di' che queste pietre diventino pane. Se Gesù avesse trasformato le pietre in pane si sarebbe tolto la fame, ma avrebbe resa vana la parola d’amore che con il digiuno aveva offerto al Padre. Digiunando quaranta giorni Gesù ha detto al Padre: “Sei tu che conti, non io”, ma la sua parola d’amore ha suscitato la risposta del Padre che a sua volta gli ha detto: “Sei tu che conti, e non io”, infatti, il cielo si è aperto e gli angeli sono scesi a servire il loro Signore: Ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

A coloro che si rendono conto della situazione e giustamente temono le insidie del Maligno, Gesù offre la forza invincibile della Croce e la protezione sicura di Maria. Coloro che non temono, perché non vogliono comprendere, non si preoccupano di cercare un riparo e allora rischiano di perire nelle tempeste che il demonio sta scatenando con un crescendo impressionante.

Che la Santa Vergine apra i nostri occhi e ci faccia trovare la via del rifugio.

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    Difficoltà  di comprendere un comportamento ingiusto - Ingiustizia che torna a nostro favore - Chi consola questa parabola.

Consapevole che le meditazioni proposte non sono che incerti balbettii, faccio appello alla carità  del lettore perché vengano accolte con benevolenza. In fondo, davanti a Dio, siamo tutti dei bambini bisognosi di imparare a parlare l'unica lingua che si parli nel suo Regno, la lingua dell'amore.

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