Meditazioni sul Vangelo

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Med. br118

Dammi da bere (Gv 4, 5-42)

 Dammi da bere

Quasi all’inizio del vangelo di Giovanni troviamo uno fra gli episodi più belli e significativi del vangelo, si tratta dell’incontro di Gesù con una donna samaritana dalla vita piuttosto disastrata, praticamente, un cumulo di macerie. Gesù è in viaggio dalla Giudea verso la Galilea; mentre attraversa la Samaria, verso mezzo giorno, si siede stanco sull’orlo di un pozzo nella città di Sicar. È solo, perché I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Arriva una donna ad attingere acqua e Gesù le dice: Dammi da bere; è l’inizio di un dialogo molto bello, articolato e istruttivo. Prima di capire le cose nel dettaglio dovremmo cogliere la bellezza del dialogo fra Gesù e la donna, se non siamo prima di tutto sensibili alla bellezza del racconto sarà impossibile comprendere ciò che il Signore vuole dirci.

Una serie di malintesi

Il dialogo fra Gesù e la donna è caratterizzato dal malinteso, Gesù dice una cosa e la donna ne capisce un’altra, ma è Gesù stesso a favorire il malinteso, perché dicendole: Dammi da bere, è normale che la donna pensi all’acqua del pozzo. Ciò che Gesù vuole e intende è troppo grande, paradossale e incredibile perché la donna lo possa subito capire, ci vorrà tempo e pazienza. Gesù chiede da bere, ma in realtà è lui che vuole dare da bere alla donna; lei però non poteva minimamente sospettarlo, allora il dialogo prosegue di malinteso in malinteso finché la samaritana giungerà veramente a dare da bere a Gesù, ossia a riconoscerlo come suo Signore.

Ora, il malinteso fra Gesù e la donna è figura del malinteso costante che c’è fra Gesù e noi, lui dice una cosa e noi ne comprendiamo un’altra: lui vuole donarci la vita divina e incomincia col chiederci di lasciarlo entrare nella nostra povera vita umana; noi pensiamo che voglia toglierci tutto, mentre lui vuole donarci tutto. Nel migliore dei casi, il malinteso va avanti per anni, nel peggiore, interrompiamo il dialogo perché non vogliamo assolutamente rinunciare all’acqua del nostro pozzo. Ma Gesù ci avverte: Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell'acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna.

Il malinteso con Gesù dipende dal fatto che noi comprendiamo le cose in modo materiale, lui in modo spirituale, noi secondo una prospettiva di felicità terrena, lui invece vorrebbe donarci un’acqua viva che ci consente di non avere più sete in eterno. Allora, anche noi come la samaritana gli diciamo: Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest'acqua viva? La donna e noi non capiamo come possa Gesù, che non ha mezzi per attingere acqua dal pozzo, promettere un’acqua capace di dissetare per l’eternità. La felicità terrena a cui sempre pensiamo si estrae dal pozzo mediante le ricchezze di questo mondo: denaro, potere, possedimenti, buone relazioni coi potenti, ascesa sociale, prestigio, esperienze di ogni tipo, e, quando è il caso, pur di godere di più, o per non perdere certe occasioni, non esitiamo a calpestare la legge morale cambiando il male in bene e il bene in male. Ma Gesù non ha e non vuole nessuno di questi mezzi: non ha denaro, non ha potere, non possedimenti, con i potenti è spesso in contrasto, si trova a suo agio con gli umili e i bambini, predica il nascondimento, la purezza, la pratica di ogni virtù, il rispetto delle leggi, l’amore del prossimo… come può allora renderci felici?

Richiamo al buon senso

A coloro che non interrompono il dialogo e sono comunque attratti dal suo fascino, Gesù suggerisce una riflessione di buon senso di cui è facile verificare la verità: Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete. La cosa è vera sia nel senso materiale, sia in quello spirituale. Gesù propone allora un rimedio per estinguere definitivamente la sete, ed è: ma chi berrà dell'acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno; la donna però comprendere queste parole in modo materiale e gli dice: Dammi quest'acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua. Quando Gesù dice: Chiunque beve di quest'acqua, è chiaro che si riferisce all’acqua del pozzo, ma nello stesso tempo attribuisce all’acqua un significato simbolico; secondo il senso spirituale l’acqua rappresenta qualsiasi bene a cui attingiamo per estinguere la nostra sete, non solo fisica, ma soprattutto di verità, di amore, di pienezza di vita. Tuttavia Gesù, che ha fatto l’uomo, sa quali sono le reali esigenze del suo cuore, sa che nell’uomo c’è un’esigenza di infinito che nessun bene finito potrà mai soddisfare, per questo chi si ostina ad attingere acqua dai beni finiti avrà di nuovo sete; con un minimo di esperienza e di onestà intellettuale tutti possiamo constatare questa verità.

L’acqua che ha in mente Gesù e quella che abbiamo in mente noi

Il guaio è che siamo duri di comprendonio, allora insistiamo perché Gesù ci dia l’acqua come la intendiamo noi, così che io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere. Ma fino a quando l’acqua che ha in mente Gesù e quella che abbiamo in mente noi non coincidono, il malinteso rimane e può durare per anni, anche fino alla fine degli anni. In fondo, la richiesta della donna e nostra, tende a strumentalizzare Gesù in vista di un nostro desiderio, vorremmo che Gesù ci aiutasse, perché è buono e potente, a realizzare la vita secondo un progetto o una visione che abbiamo in mente noi. In cambio siamo disposti a dimostrargli amicizia andando quasi sempre a Messa, impegnandoci a essere onesti, a fare del bene al prossimo, a dire le preghiere… purché lui si adatti a concederci le grazie necessarie a garantirci il conforto di una vita equilibrata, serena, senza drammi. Con queste idee in testa rischiamo anche di pretendere un buon posto in paradiso! Questi pensieri albergano veramente nei nostri cuori e si rivelano quando, in occasione di qualche decesso, diciamo o sentiamo dire: “Ormai non soffre più”, “Ora è in cielo, riunito ai suoi cari”, ma che ne sappiamo noi! Chi siamo per decretare così superficialmente la santità di qualcuno, perché solo i santi sono “ormai in cielo” e “non soffrono più”. La persona deceduta, quanto ha veramente desiderato la santità? Quanto ha cercato l’amicizia con il Signore e amato i fratelli come Gesù ha chiesto di amarli? Veramente, anche i “buoni cristiani” non sanno a volte quello che si dicono; sia perché hanno completamente perso di vista la dottrina sul purgatorio, sia perché non comprendono l’amore di Dio. Gesù è venuto a gettare fuoco sulla terra (Lc 12, 49) e questo fuoco, prima di renderci beati, non può non bruciare tutto ciò che si oppone all’incandescenza del suo amore, soprattutto la nostra tiepidezza; non si entra in paradiso senza un amore incandescente per Dio, il Fuoco dell’amore trasforma tutto in fuoco, l’Amore infinito è un Fuoco infinito che, abitando in un cuore finito, lo rende capace di amore infinito.

Dalla teoria alla pratica

Fino a questo punto la donna vede nell’uomo che le parla una bontà, una sapienza, una bellezza anche fisica, non comuni, e lei ne subisce il fascino, ma il loro dialogo non progredirebbe se Gesù non concretizzasse le sue parole, se non cercasse di far passare la donna dai significati simbolici del suo discorso alla realtà, allora Le dice: «Va' a chiamare tuo marito e ritorna qui». Con questa richiesta Gesù vuole entrare nella vita quotidiana della donna, la quale potrebbe rifiutarsi di lasciarlo entrare, invece risponde: Io non ho marito. La risposta è vera, anche se è un tentativo di non dire tutta la verità, perché le vicende della sua vita non meritavano certo grandi elogi; ma Gesù dimostra di conoscere la sua situazione meglio di quanto non la conosca lei: Hai detto bene: Io non ho marito. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero. L’osservazione di Gesù rivela prima di tutto il suo potere profetico, al suo sguardo d’amore nulla sfugge della vita degli uomini; lo dice bene la lettera agli Ebrei: Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto (Eb 4, 13); inoltre ci fa conoscere, da un lato, la grande sete di amore che aveva la donna non essendole bastati sei uomini per trovare l’amore, e dall’altro, la verità di quanto Gesù aveva prima affermato, infatti, la samaritana era passata da un amore all’altro cercando inutilmente di estinguere la sua sete, ma non ci era riuscita e non poteva riuscirci, perché chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; gli amori umani non possono estinguere la sete dell’uomo, perché solo lo può l’acqua viva che Gesù vuole donare a coloro che credono in lui.

Qual è la vera religione?

Man mano che il dialogo prosegue la donna incomincia a percepire che in quell’uomo c’è qualcosa di speciale che gli altri non hanno, allora gli chiede: Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare. Alcuni interpretano la domanda come un tentativo della donna di distogliere l’attenzione di Gesù dai suoi disastri affettivi; senza escludere del tutto questa interpretazione, è anche possibile cogliere nella domanda un sincero desiderio di conoscere la verità intorno alle cose di Dio; lo possiamo desumere dall’ampio discorso che Gesù le fa in risposta alla domanda, segno che in lei c’era un desiderio sincero di conoscere la verità. La domanda non è banale, ed è una domanda che tutti dovremmo porci, perché, fra le tante religioni che ci sono nel mondo, chi ama veramente la verità desidera sapere quale fra queste è quella vera, e Gesù è particolarmente indicato per rispondere a questa domanda, ma per avere delle risposte dobbiamo chiedere, cercare, bussare (Cfr. Mt 7, 7).

Gesù non le risponde dicendo che tutte le religioni si equivalgono; fra la religione dei Samaritani e quella dei Giudei, quella dei Giudei è quella vera, perché: la salvezza viene dai Giudei; ma se la salvezza viene dai Giudei anche il Messia deve venire dai Giudei. Il Messia è il Salvatore definitivo atteso dagli Ebrei, il Liberatore ultimo che Dio aveva promesso agli uomini, allora la donna riflette: So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa. Oltre il Messia non si può andare, perché è il solo nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati (At 4, 12). A questo punto avviene lo svelamento definitivo, Gesù le dona l’acqua viva che aveva promesso, dicendole: Sono io, che parlo con te; ciò che la donna già presentiva trova conferma in queste parole, che non sono solo parole, ma esperienza viva di come Gesù sia l’approdo, pacificante e beatificante, del suo inquieto vagare, la risposta ultima al suo bisogno di verità e di amore; la sorgente d’acqua viva è lui stesso, venuto fino a Sicar a mendicare l’amore della sua creatura per poterle donare il suo amore. Il cuore della donna, che durante il colloquio sempre più si riscaldava, ora prende fuoco, lascia Gesù e corre in città a dire a tutti di venire a vedere e ascoltare uno che, nonostante sapesse tutto di lei, non l’aveva disprezzata, non l’aveva rimproverata, ma guardandola e parlandole con amore l’aveva fatta rinascere.

Se questo dono è stato concesso a una donna che non aveva fatto un gran che per meritarlo, anzi, avendo fatto molto per rischiare di perderlo, a maggior ragione il Signore si rivelerà a coloro che chiedono, cercano e bussano.

Che la Santa Vergine doni a tutti il desiderio di incontrare suo Figlio.

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Consapevole che le meditazioni proposte non sono che incerti balbettii, faccio appello alla carità  del lettore perché vengano accolte con benevolenza. In fondo, davanti a Dio, siamo tutti dei bambini bisognosi di imparare a parlare l'unica lingua che si parli nel suo Regno, la lingua dell'amore.

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