Meditazioni sul Vangelo

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Med. br73

Quella notte non presero nulla (Gv 21, 1-14)

Coloro che seguono Gesù sono condotti, a più riprese e in varia misura, a fare delle esperienze simili alla sua passione, morte e risurrezione. È quello che è successo a Pietro e ai suoi compagni nei giorni che seguirono la risurrezione. Non sapendo bene come impiegare il tempo Pietro decide di andare a pescare insieme ad alcuni discepoli, ma, come già era successo una volta, fa l’esperienza del fallimento totale: quella notte non presero nulla. Sulla riva c’è un uomo, che stranamente non riconoscono, il quale dice loro di gettare la rete dalla parte destra della barca; umanamente la richiesta non ha senso perché non si pescano i pesci con le reti di giorno.

Tutto è strano in questo episodio. Come mai Pietro non riconosce il Signore e ubbidisce a uno sconosciuto? Probabilmente, dopo tre anni di vita con Gesù aveva imparato a ubbidire agli eventi, anche se questi erano sconcertanti e andavano contro la logica umana; e poi, in quell’uomo e nelle sue parole deve aver percepito un’autorità e una maestà a cui disubbidire sarebbe stato stolto e offensivo. Pietro si lascia fare e la sua docilità è ampiamente premiata, i pesci entrano miracolosamente nella rete e Giovanni conclude che solo il Signore poteva operare quel miracolo. Da notare che Gesù non è stato riconosciuto direttamente, ma a partire dal segno che aveva compiuto, e questa è un po’ la via normale di coloro che per fede seguono il Signore. Pietro e i suoi compagni passano quindi dalla fatica sterile, dal fallimento e dallo sconforto, allo stupore, alla fruizione di un’abbondanza insperata e alla gioia di trovarsi alla presenza del loro Signore. Questa esperienza dobbiamo fare e rifare anche noi finché non avremo imparato bene che la sofferenza, il fallimento e la morte sono il preludio della risurrezione, poi, un giorno tutto terminerà nell’abbondanza del banchetto eterno e nella visione svelata del Signore.

Alcuni pensieri di Teresina di Lisieux e di don Divo Barsotti sono utili per arricchire la riflessione. Così scrive Teresina nella lettera 140: “Gli apostoli senza Nostro Signore lavorarono tutta la notte e non presero neppure un pesce, ma la loro fatica era accetta a Gesù. Voleva mostrare loro che soltanto lui ci può dare qualcosa. Voleva che gli apostoli si umiliassero... Figlioli, dice loro, avete nulla da mangiare? Signore – rispose San Pietro – abbiamo pescato tutta la notte senza prendere nulla (Lc 5, 5). Non avevano nulla, e così Gesù riempì subito la loro rete fino al punto da farla rompere. Ecco qual è il carattere di Gesù: dona da Dio, ma vuole l’umiltà del cuore”.

Ed ecco alcuni pensieri di don Divo Barsotti: “Prima che Dio salvi l’uomo, bisogna che l’uomo sperimenti fino in fondo l’inutilità della sua vita e della sua morte”. “La presenza del Cristo rivela all’anima il suo vuoto”, infatti, la presenza di Gesù sulla riva ha fatto sì che le reti rimanessero vuote durante la notte per essere riempite miracolosamente durante il giorno. “Quando il niente sta nel suo niente, Dio lo santifica”. E infine: “La riuscita di una vita religiosa è il suo fallimento”. Queste non sono frasi ad effetto dette per stupire, per mania di essere originali o per spirito di contestazione, ma sono pensieri che si accordano molto bene all’episodio che stiamo meditando. “La riuscita di una vita religiosa è il suo fallimento”, infatti, come il fallimento totale della pesca notturna e l’umiliazione conseguente sono stati necessari perché Dio potesse ancora una volta manifestare la sua sovrabbondante generosità, così è quando noi accettiamo di stare nell’umiliante consapevolezza della nostra incapacità di amare Dio e il prossimo che Dio ci santifica. La difficoltà, grande come una montagna, è nello “stare”, finché il Signore lo vorrà, in questa umiliante consapevolezza. Anzi, noi non vorremmo nemmeno giungere a tale lucidità su noi stessi, troppo ci costa riconoscere il nostro fallimento e la nostra impotenza, tanto che cerchiamo goffamente di nasconderli a noi e agli altri; come nota padre Molinié: “pretendiamo di cogliere i frutti dell’amore senza aver piantato l’albero dell’amore”.

Eppure, è proprio a prendere atto di un fallimento che il Signore ha condotto Pietro e quanti erano con lui. Un’ulteriore conferma l’abbiamo al termine di questo episodio quando Gesù esamina Pietro sull’amore. Prima della passione Pietro aveva dichiarato, con una certa presunzione, di amare il Signore più di tutti i suoi compagni: Anche se tutti si scandalizzeranno, io no! (Mc 14, 26-29), ma ora il Signore, in modo molto fine, lo invita a riconoscere che, nell’ora della prova, il suo amore aveva fallito; come Pietro aveva rinnegato per tre volte il Signore così ora lui gli chiede per tre volte se lo ama; nella prima domanda è come se gli dicesse: “Veramente tu puoi affermare di amarmi più di costoro?”. La risposta giusta sarebbe: “No Signore, io non ti amo più di costoro, io ti ho rinnegato tre volte, loro, questo non l’hanno fatto!”. Probabilmente, sul momento Pietro non si rendeva conto del lavoro a cui il Signore lo stava sottoponendo; valeva ancora la risposta che Gesù gli aveva dato in occasione della lavanda dei piedi: Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo (Gv 13, 7); col tempo, e dopo la discesa dello Spirito Santo, Pietro capirà, e capirà così bene che darà la sua vita per il Signore.

La Santa Vergine ci ottenga la grazia della docilità, perché possiamo anche noi godere delle meraviglie che suo Figlio opera in coloro che gli ubbidiscono.


Per una meditazione più approfondita dell’esame di Pietro sull’amore vedi qui.

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Consapevole che le meditazioni proposte non sono che incerti balbettii, faccio appello alla carità  del lettore perché vengano accolte con benevolenza. In fondo, davanti a Dio, siamo tutti dei bambini bisognosi di imparare a parlare l'unica lingua che si parli nel suo Regno, la lingua dell'amore.

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